Cascina Piano – I vini del territorio
Qualche anno fa stavo curiosando nella cantina di un ristorante sulla montagna che domina Laveno e il Lago Maggiore, quando mi sono imbattuto in una bottiglia che sull’etichetta riportava “Cascina Piano – Ronchi Varesini I.G.T.”. Per la miseria, pensai, e questa che novità è?
Incuriosito andai a chiedere lumi al ristoratore e questo mi disse che si trattava di un’azienda agricola di Angera che stava riportando la viticoltura nel territorio. Che in Provincia di Varese in passato ci fossero vigne lo sapevo, ma che qualche “pioniere” stesse riproponendo nel nostro territorio la viticoltura fu per me una grande e bella sorpresa.
Anni dopo ebbi l’occasione di visitare l’azienda, di degustare i loro vini, conobbi i “pionieri” che si stavano cimentando in questa impresa e con la curiosità che mi caratterizza, m’è sembrato il minimo andare di nuovo ad Angera a fare due chiacchiere con loro.
Abbiamo incontrato il signor Franco Berrini, socio fondatore della Cascina Piano di Angera, e abbiamo avuto il piacere di passare un’ora insieme passeggiando in vigna, parlando dei loro vini e della loro storia e, ovviamente, ne abbiamo approfittato per toglierci qualche curiosità…
Le origini
Da dove nasce l’idea delle vigne qui, ad Angera?
Racconta Franco Berrini:
“Le colline angeresi sono stati terreni vocati, da qui a Ranco fino alle colline del Piemonte. A fine ’800, Varese era chiamata “Il grande vigneto”, ancora prima della seconda guerra mondiale c’erano parecchi vigneti. Poi è arrivata la fillossera. Qui non è tornato niente perché c’è stato il boom dell’industria, degli aerei, la cartiera della Valle Olona, e poi tutto l’indotto che girava intorno alle grandi aziende. Anch’io ho iniziato a lavorare nell’industria, ero dirigente ma ho sempre avuto a che fare con il mondo del vino, la passione mi portava a visitare le cantine. Nel 2000, quando sono arrivato ai trentacinque anni di servizio, sono andato in pensione. Ero stufo di lavorare per gli altri e ho deciso di iniziare a fare qualcosa che mi piacesse.
Nasce tutto in quell’anno: ho cercato le persone che sono i miei soci attuali ai quali si sono aggiunti altri nel corso degli anni.
Il primo passo è stato quello di sensibilizzare le Istituzioni per l’ottenimento dell’Indicazione Geografica Tipica I.G.T, senza la quale non sarebbe stato possibile produrre vini di qualità e in quantità, ma solo vini per uso personale. Per velocizzare l’iter per l’ottenimento della I.G.T. si è pensato di utilizzare i vitigni già presenti nel territorio. Un paio di anni dopo abbiamo fatto la revisione e aggiunto altre varietà di viti.
L’iter è durato fino al 2005, ma io nel 2003, quando ho capito che avremmo ottenuto l’IGT, ho costituito la Cascina Piano, nata ufficialmente il 31 marzo 2003. Alla fine del 2005 ci fu il riconoscimento della I.G.T. Ronchi Varesini. Noi abbiamo dato il primo impulso, poi si sono aggregati i produttori di Golasecca e Morazzone.”
Il vigneto
Qual è il suo rapporto con il vigneto in cui ci troviamo oggi?
“Questo era il vigneto di mio nonno, tutta la collina. Da ragazzo venivo ad aiutare mio padre ma a dire la verità non ero molto contento, preferivo andare al lago a fare il bagno!
Il terreno è stato frazionato in quattro e ho dovuto cercare di raggruppare le parti. Sono riuscito ad averne due, insieme al 60% della cascina.
Quando ho preso questo terreno c’erano già i vecchi vigneti, impiantati per lo più a maggiolina perché una volta si lavorava tutto a mano. Adesso di quei vigneti ne è rimasto un quarto, li abbiamo riuniti tutti e li abbiamo rifatti. Abbiamo valutato che per il volume di attività attuale, la cantina esistente poteva bastare. Nella zona i nostri vini sono apprezzati sia per le scelte fatte in cantina che per la qualità dei terreni di natura morenica, originati dal ghiacciaio del Verbano che quando si è ritirato ha lasciato il lago e le colline. Sono permeabili e quindi anche quando piove non ci sono ristagni.”
Come vi siete comportati con i vitigni ereditati? Siete riusciti a sfruttarli o avete dovuto cominciare da capo?
“I vitigni rossi più diffusi nel Varesotto sono Nebbiolo, Croatina, Merlot, Barbera, Uva Rara (Bonarda del Novarese).
I vitigni che abbiamo sono tutto sommato quelli originari, abbiamo cercato di mantenere la tradizione. Abbiamo puntato come vitigno principe sul Nebbiolo, poi la Croatina che è uno dei vitigni più coltivati, dal Piemonte al Piacentino. In zona era già arrivato il Merlot, dopo la seconda guerra mondiale. Noi ne coltiviamo due appezzamenti. Preferiremmo mantenere vitigni non internazionali, ma il Merlot lo usiamo nei blend di Sebuino e Verboso Rosso.
La sfida è stata con il vino bianco: la ristorazione del lago prevede piatti a base di pesce e il bianco ha la maggiore richiesta. Un vitigno reale che potesse rappresentare la zona non c’è, pertanto ho puntato su un vitigno internazionale: lo Chardonnay. Anche se non autoctono, dà risultati molto buoni. Per l’80% viene coltivato nel vigneto di Ranco, mentre in quelli di Angera coltiviamo prevalentemente vitigni a bacca rossa.
Lo Chardonnay dà morbidezza, mentre il Trebbiano, che coltiviamo nel vigneto del Castabbio, fornisce acidità al vino. Dall’assemblaggio di queste due uve nasce un vino indicato per l’abbinamento con il pesce.
Successivamente abbiamo inserito il Bussanello. Ce l’aveva suggerito un’enologa di Alba che conosceva il nostro enologo. È un incrocio tra il Riesling e il Furmint, vitigno ungherese usato per la produzione di Tokaji. Abbiamo messo una quota di Bussanello con Trebbiano e Chardonnay e ha fatto da legame, ha reso il vino più beverino.
Della Vespolina noi abbiamo qualche filare perché era già presente, ma la resa è bassa e appassisce subito, quindi la uniamo ad altri vini. Anche Uva Rara era già presente nel vigneto di uno dei soci. Uniamo tutto nel Verboso Rosso, leggermente mosso.”
I vini
Ci dia qualche indicazione più precisa sulla composizione dei vostri vini.
“Il Sebuino è composto da 60% Croatina e il restante è Merlot, Vespolina e Barbera.
Il Primenebbie è un Nebbiolo in purezza, nato nel 2007. Viene lasciato ad affinare diciotto mesi in barrique da 500 litri. Nel 2012 è cambiato, lo abbiamo migliorato dal punto di vista della struttura: un quarto delle uve viene fatto appassire nelle cassette e poi a dicembre vengono pigiate e il vino ottenuto viene unito a quello ricavato dalle uve raccolte a ottobre. Il risultato è un vino con più corpo. L’anno scorso (2017 ndr) è stata un’annata particolarissima, la gradazione è arrivata a più di 13,5 % vol.
L’Angliano è composto da 65% Nebbiolo e 35% Croatina (il Nebbiolo è quello coltivato nel Castabbio). Viene lasciato dodici mesi in barrique da 225 litri. La prima annata di produzione è stata la 2003, lo scorso anno abbiamo fatto una degustazione verticale delle annate 2004, 2006 e 2009. Si è rivelato un ottimo vino, ha mantenuto la consistenza e ha anche sviluppato profumi di amarena.
I nebbioli di qui hanno il vantaggio di essere più morbidi, maturano prima, sono già pronti al quarto anno.
Il Verboso Bianco (da uve Chardonnay, Trebbiano, Bussanello e altre uve minori) è uno dei vini più apprezzati che abbiamo. È diventato un vino da aperitivo e accompagna i piatti di pesce, anche meglio del San Quirico.”
Il muffato del Lago Maggiore
Come nasce il Mott Carè, vino muffato del lago maggiore?
“Un puro caso. È nato in un posto chiamato in dialetto “il buco”, perché le colline fanno una rientranza, e appena fuori c’era la fornace Carè.
Quel vigneto non era nostro. Quando il proprietario è morto ce l’hanno dato in gestione e l’abbiamo tenuto tre, quattro anni. Ma erano filari stretti, si doveva fare tutto a mano. Nella parte alta della collina c’erano Nebbiolo e Croatina, nella parte bassa Chardonnay, Malvasia di Candia e Moscato. Abbiamo raccolto tutte le uve presenti nel vigneto delle stesse varietà di quelle coltivate negli altri vigneti e sono rimaste in pianta solo la Malvasia e il Moscato. Non sapevamo cosa farne perché era poca roba, così abbiamo deciso di lasciare gli acini in sovra maturazione. Un socio che abitava lì vicino andava ogni tanto a controllare cosa succedeva, e un mattino verso fine settembre mi telefona e mi dice ‘Sarà meglio che la cogliamo perché si è formata la muffa grigia’. Lui non sapeva cos’era, io sì. Ho chiamato l’enologo e l’abbiamo raccolta. Abbiamo iniziato a sperimentare, 50-60 litri, ed è nato il Mott Carè.
Adesso lo coltiviamo a Ranco. A livello di umidità era meglio a Carè, perché quando arriva l’autunno si forma una sacca di umidità, mentre a Ranco sul lago c’è sempre un po’ di brezza. Infatti, il vino dei primi tre anni era diverso, aveva caratteristiche particolari che lo differenziano da quello di ora (che stavano imbottigliando quel giorno e che abbiamo degustato in anteprima ndr).”
Come sono i rapporti con il “vicinato”?
“Le persone qui hanno poca memoria storica, non danno molto valore alla rinascita del vino locale, mentre da fuori c’è molta curiosità.
Provincia e camera di commercio hanno dato una mano all’inizio. Dal 2001 al 2005 fino a quando abbiamo avuto la I.G.T. Ronchi Varesini c’è stato fermento, perché avevamo l’assessore all’agricoltura della provincia che era di Golasecca, e si è dato molto da fare, ha fatto anche rinascere altre coltivazioni che si stavano perdendo, come le pesche di Monate e gli asparagi di Cantello.”
Quali sono i prossimi sviluppi dell’azienda?
“Stiamo cercando di ampliarci. Abbiamo in progetto di trasformare la società in una S.r.l. e passare da tre a sei ettari, raddoppiare. Nella nostra linea non abbiamo spumanti, e ci vorrà ancora del tempo prima di riuscire ad averne uno. Bisogna ampliare la presenza di Chardonnay e Bussanello, ma prima bisogna sistemare la società. Il progetto è lì, si spera che si concretizzi.”
Il tempo come sempre è tiranno. Dopo aver attinto da un secchio un sorso di vino muffato e dopo aver detto ancora qualcosa sulla curiosa origine delle etichette, abbiamo salutato il signor Franco, che contiamo di ospitare nel nostro locale al più presto per una degustazione guidata dei vini della Cascina Piano di Angera.